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Immagine del redattoreDavide Gaeta

TRAGEDIA DI MILAZZO: un'analisi tecnica

Aggiornamento: 7 dic 2020

Quello che è successo a Milazzo lo scorso Sabato ha sconvolto un po' tutti. Non è la prima volta che qualcuno perde la vita nel tentativo di soccorrere qualcun altro in acqua, ma in questo caso il malcapitato non è una persona che si è improvvisata nel ruolo del soccorritore bensì un militare della Guardia Costiera, motivo per cui si sono accesi i riflettori sulla vicenda.

Visto che in questi giorni ne ho sentite tante, da tuttologi, ma anche da gente del mestiere, e visto che in tanti mi avete scritto per avere un parere, ho voluto scrivere due righe per analizzare alcuni punti tecnici e rivedere alcune tematiche che ruotano attorno ad un soccorso in un contesto di quel tipo.


Sicuramente a prevenzione di un episodio del genere, dove è inammissibile che dei ragazzini vadano in acqua con quel mare e fuori stagione, ci sarebbero due focus da mettere in risalto, rivalutare ed incentivare:


- educazione alla sicurezza acquatica, troppo trascurata in un Paese-penisola che vanta 8.000km di costa e un vasto bacino idrico interno e dove, a mio parere, le nuove generazioni posseggono una scarsa cultura marinara;


- sorveglianza balneare, quale dovrebbe essere incentivata anche (e soprattutto) sui tratti di spiagge libere, ed elasticizzata rispetto ai soli mesi di Giugno-Luglio-Agosto.


A prescindere da ciò, quello che è successo a Milazzo può essere visto come una fatalità o come una tragedia che prima o poi doveva avvenire, conseguenza di alcuni aspetti statici del sistema prevenzione-soccorso che forse potrebbero essere modificati e migliorati.


 

Condizione dello scenario

La criticità non è il mare mosso in sé, non è l'altezza delle onde ma il modo in cui frangono in quell'area.

Qui si tratta di una spiaggia a rapido declivio che, in sostanza, a pochi metri dal bagnasciuga diventa subito profonda (il famoso "scalino"). Ne consegue che in condizioni di mare formato l'area dei frangenti si riduce ad un'unica striscia sottocosta sulla quale si dissipa improvvisamente tutta l'energia delle masse d'acqua, con tempi tra un frangente e l'altro quasi inesistenti.


Qui si accoppiano due fenomeni micidiali:

- collapsing breakers: il frangente crolla come un muro impetuoso sulla battigia, spesso risalendola (surging breakers), con la possibilità di trascinare una persona anche con l'acqua alle ginocchia. Tutto ciò deve evidenziare in una condizione del genere, oltre al rischio annegamento, anche il rischio trauma dovuto a cadute e impatti;

- undertow: l'acqua che ritorna dalla battigia verso il mare (backwash) genera una corrente di risacca che si accoppia con i nuovi frangenti, realizzando una condizione in cui è difficile galleggiare, respirare o addirittura nuotare in una direzione.

Quindi la condizione ben dista dal mare mosso tipico di uno spot surfistico. In uno scenario del genere, una volta entrati (o trascinati) in acqua non c'è modo di nuotare verso una direzione o peggio ancora di trasportare un pericolante. Sei immerso in una lavatrice.


 

Episodi analoghi

Non è la prima volta che si ha un incidente fatale, in quelle condizioni, su quella spiaggia di Milazzo. Ricordo che già nel 2012, un caso simile mi spinse a ragionare e testare tecniche, attrezzature e protocolli per lavorare in uno scenario del genere. E da allora ci sono stati anche altri casi.

E non è di certo neanche l'unica spiaggia italiana che possiede questo tipo di caratteristiche.

Generalmente su questo tipo di costa è più raro trovarsi a fare interventi (rispetto ad esempio alle spiagge tipiche di correnti di ritorno) per il semplice fatto che il pericolo risulta evidente al bagnante, quale di norma evita di andare in acqua. Ma quando succede, questo diventa uno degli scenari più pericolosi da affrontare. Di peggio ci sarebbe soltanto una situazione affine con presenza di scogli o scogliere.


 

Soccorritori impiegabili

I soccorritori che hanno tentato l'intervento il 26/09/2020 costituivano equipaggio di motovedetta della Guardia Costiera. Non tutti sanno che il personale delle motovedette non è abilitato, preparato ed equipaggiato al soccorso tecnico in acqua, perché di professione svolgono diversa tipologia di attività di soccorso. I Corpi dello Stato si avvalgono di personale specialistico per il soccorso tecnico in acqua, della Guardia Costiera (rescueswimmer, aviosoccorritori, sommozzatori) e dei Vigili del Fuoco (sommozzatori, soccorritori acquatici, in determinati contesti speleo-alpino-fluviali), ma parliamo tuttavia di un numero di unità esiguo e poco distribuito, che non in tutti i casi è possibile far arrivare su un target nei tempi utili dettati da un'emergenza del genere.


 

Considerazioni sul rischio

Alcuni protocolli sul soccorso acquatico differenziano l'alto rischio dal basso rischio in base alla scelta o meno di entrare in acqua per effettuare un soccorso. In altri si parla di Zona Rossa-Arancione-Gialla in base alla prossimità rispetto alla fonte di rischio.


Qui c'è da precisare che, in un contesto del genere, stare sul bagnasciuga significa essere già in Zona Rossa ad Alto Rischio.


 

Procedure di intervento

Qui si aprirebbe un mondo, qualunque cosa dovessi scrivere mi sarebbe contestata.

La premessa da fare è che questo è un contesto dove agire in piena sicurezza e con certezza di successo è impossibile. Se parlo di "procedure" è in riferimento a come garantire un minimo di sicurezza per il soccorritore e una speranzosa possibilità di riuscita dell'intervento.


Il salvagente anulare, come già detto in più occasioni, è una dotazione da nautica: per il lifeguarding ed il soccorso nell'area dei frangenti è impraticabile. Assetto eccessivamente positivo (galleggia troppo), ingombrante, non-idrodinamico; "lanciarlo" è un mito che resta alle gare di salvamento del passato.


Qualora si scegliesse di lanciare qualcosa, l'ideale sarebbe la sacca-lancio, dotazione abbondantemente impiegata nel soccorso fluviale. L'esigenza marinara richiede dei modelli diversi da quelli per uso fluviale che fortunatamente esistono; in particolare devono essere leggermente zavorrate per poter essere lanciate contro-vento e l'utilizzo marino non richiede un carico di rottura elevato. Naturalmente bisogna saperle utilizzare.


Qualcuno potrebbe parlare di lanciasagole (cannoncino in grado di lanciare ad alcune decine di metri uno speciale proiettile al quale è legata una sagola), ma si finirebbe sempre nella pura teoria, per palesi motivi.


Qualora fosse necessario per l'operatore entrare in acqua, lo stesso dovrebbe essere sempre vincolato. Ora qui si genera un divario, come è ovvio che sia, tra un soccorritore tecnico e un soccorritore improvvisato.


Una figura tecnica avrebbe a disposizione tutti i dispositivi di protezione individuale e le dotazioni previste. In questo caso, personalmente, avvalendomi di test fatti in scenari simili, reputerei fondamentale entrare con quella che alcuni manuali chiamano Cintura H (giubbotto autogonfiabile), vincolata con una cima su un punto dissipabile.


Entrare in acqua non è cosa facile perché dalla battigia ti ritrovi davanti una parete di acqua alta più di te, e i video lo testimoniano.


In direzione del target, per entrare attenderei il momento giusto tra un frangente e l'altro (a trovarlo!) per poter poi dover fare poche bracciate. Una volta arrivato sul pericolante sarebbero poi gli altri operatori a riportarci a riva recuperando la cima, e qualora dovesse andare qualcosa storto ci sarebbe la bomboletta di CO2 a garantirmi immediatamente 150N di galleggiabilità, per poi essere scaraventato a riva da qualche frangente.


Un soccorritore improvvisato, ossia non preparato ed equipaggiato per quel tipo di intervento, potrebbe valutare un rullo di salvataggio o qualcosa che si avvicini, ma personalmente senza i corretti DPI non reputo il caso di azzardare, le conseguenze si sono viste.


Il soccorso da mare è irrealizzabile. Una motovedetta non può navigare nella breakerzone, ma in una condizione del genere neanche una moto d'acqua potrebbe farlo. Non è lo swell oceanico, con quegli intervalli che permettono di navigare anche tra onde altissime. Il Mediterraneo e quel tipo di spiaggia sono un' altra cosa.


Anche avvicinarsi di poppa, con prua all'onda, costituisce dei rischi inaccettabili in quelle condizioni, e anche una volta vicini al target sarebbe troppo pericoloso e difficile issarlo a bordo o far pervenire un salvagente legato ad una cima, come più volte è stato fatto.

Perfino un intervento di elisoccorso in quella condizione non è per nulla una cosa facile.


 

Conclusioni

Nuoto sempre col mare formato, lo faccio spesso in Inverno, per sport e per professione. Ma quella lì è una condizione che mi avrebbe fatto paura.

Aurelio è un eroe perché pur di fare qualcosa per essere d'aiuto a quei ragazzi ha sacrificato la sua stessa vita.

Vero che l'incolumità del soccorritore viene prima di ogni altra cosa ed è vero anche che probabilmente una volta finito in acqua non abbia avuto nessun contatto con i pericolanti e che quel gesto non abbia agevolato in alcun modo l'esito del soccorso. Ma resta un eroe per quello che ha fatto, con abnegazione e coraggio, nelle poche possibilità che aveva, e merita tutta la nostra ammirazione e il nostro rispetto.

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