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Immagine del redattoreDavide Gaeta

ONDA SOLITARIA: dal solitone allo tsunami

Aggiornamento: 16 lug

Indipendentemente dalle condizioni del mare, anche quando questo è piatto, al passaggio di una barca si formano delle onde che possono essere di disturbo per nuotatori, persone in spiaggia o altri diportisti. Per la modalità con cui si genera, questo tipo di onda è chiamata onda di traslazione. Risale al 1834 la prima osservazione scientifica di un'onda solitaria, compiuta dall'ingegnere britannico John S. Russell durante l'osservazione di una massa d'acqua messa in agitazione in un canale dal moto di una barca.

 

Solitone

Per definizione si tratta di "un'onda solitaria auto-rinforzante causata dalla concomitanza, con cancellazione reciproca, tra effetti non lineari e dispersivi in un mezzo di propagazione", ed è proprio il caso in cui si può parlare di onda anomala (rogue wave).

Come definizione un'onda è considerata anomala se supera 2,2 volte l'altezza significativa del treno d'onde a cui appartiene.

Gli oceanografi hanno iniziato a studiarle a partire dalle navi negli anni Sessanta, e l’era moderna dei satelliti ha permesso di vederle su grande scala; alcuni anni fa, in Italia, sono state condotte delle ricerche dall'Università di Torino.

Di questo particolare fenomeno ne parla nel suo blog Umberto Gaetani, appassionato di astronomia e pubblicazioni digitali:

"Le onde interne si formano perché l’oceano è stratificato. Le acque profonde tendono ad essere più fredde, più dense e salate, mentre le acque più basse sono spesso più calde e più leggere. Le differenze di densità e salinità fanno sì che gli strati dell’oceano si comportino come fluidi diversi. Quando le maree, le correnti, la gravità e la rotazione terrestre spostano queste diverse masse d’acqua su formazioni di fondali marini (come creste o canyon), creano onde all’interno del mare."

Uno dei luoghi noti per questo tipo di onde è il Mare delle Andamane, nell'Oceano Indiano

I solitoni sono stabili, e possono viaggiare per distanze molto grandi. A differenza delle onde normali quelle solitarie non rispondono ai principi di sovrapposizione: un’onda bassa (meno veloce) viene sorpassata da una più alta ma le due non si combinano.

Non vanno confuse con lo tsunami perché tali onde nascono in pieno oceano, mentre lo tsunami si avverte solo in prossimità delle coste. Sono state osservate onde anomale alte da 25 a 30 metri e che sembrano formarsi in modo imprevedibile, però si tratta di un fenomeno nettamente distinto dai maremoti, con i quali c'è spesso confusione.

 

Storm Surge

L'onda di tempesta è l'aumento anomalo del livello dell'acqua del mare durante una tempesta, misurato come l'altezza dell'acqua al di sopra della normale marea astronomica prevista. L'onda è causata principalmente dai venti di una tempesta che spingono l'acqua verso la riva.

La marea di tempesta è il livello totale dell'acqua di mare osservato durante una tempesta, risultante dalla combinazione di tempesta e marea astronomica.

 

Tsunami

Con questo vocabolo si intende "l’onda solitaria che viaggia lungo l’oceano, probabilmente causata da movimenti sismici sottomarini". Il termine tsu-nami è giapponese e letteralmente significa "onda nel porto", e si è diffuso anche nel linguaggio comune soprattutto a seguito del catastrofico maremoto dell'Oceano Indiano del 2004, che ebbe grandissima risonanza mediatica per il numero delle vittime e l'entità dei danni.

Classicamente, uno tsunami si verifica quando un maremoto sposta l’acqua, creando un’onda potente o un insieme di onde.

Gli tsunami sono particolarmente comuni nell’Oceano Pacifico, intorno al famoso “anello di fuoco” che è noto per i suoi alti livelli di attività geologica

Il maremoto può essere prodotto da:

  • un terremoto sotto-marino, con epicentro a largo o vicino alla costa, cui consegue un'onda potente o un insieme di onde;

  • una frana, con minor impatto energetico e prevalenza dei danni nei pressi dell'evento;

  • attività vulcanica dovuta a forti eruzioni esplosive;

  • un meteorite caduto in acqua, causa rarissima.

Diversamente dalle comuni onde prodotte dal vento, le onde di maremoto muovono tutta la colonna d'acqua, perciò hanno così tanta energia. Per la precisione, in mare si generano delle onde che non sono alte, ma sono caratterizzate da un'enorme lunghezza, anche di decine di chilometri. Per questo motivo il maremoto in mare aperto è impercettibile alle navi, infatti le onde crescono in altezza soltanto quando si avvicinano alla costa (shoaling). In prossimità della costa, infatti, il fenomeno si può manifestare come una grande onda o come un rapido innalzamento del livello del mare, simile alla marea.


In certi casi il fenomeno è preceduto da un insolito ritiro delle acqua, apprezzabile soprattutto nei porti. A quel punto quanto tempo manca al disastro? La velocità di propagazione dipende dalla profondità del fondale dove è posto l'ipocentro dell'evento sismico. Ad esempio da una batimetrica di -4000m le onde viaggeranno oltre 700km/h.

Bisogna tener conto, inoltre, che la prima onda può non essere la più grande e le successive possono arrivare anche dopo diversi minuti.

Una volta raggiunta la costa, la propagazione dell'acqua verso l'interno è influenzata da fattori morfologici (linea costiera, topografia del fondale, insenature, promontori, secche, isole) e fattori antropici (presenza di edifici, strade parallele o perpendicolari, ecc).


Da tutti questi parametri dipendono quindi:

  • il run-up, la misura della risalita, ossia l'altezza massima raggiunta dall'acqua nell'entroterra rispetto al livello del mare;

  • l'inondazione, intesa come la larghezza della fascia costiera sommersa.

L'intensità dell'evento si misura sulla scala di Ambraseys-Sieberg, basata su 6 gradi (molto debole, debole, abbastanza forte, forte, molto forte, disastroso), mentre la scala di Papadopoulos-Imamura misura effetti e danni.

Nel XXI secolo gli eventi calamitosi più significativi per numero di vittime a livello mondiale sono stati il maremoto del 26 dicembre 2004 nell'Oceano Indiano e quello dell'11 marzo 2011 al largo del Giappone
 

Maremoto in Italia

Per quanto riguarda la storia recente della nostra Nazione, il terremoto di Messina del 1908 innescò un maremoto di impressionante violenza che si riversò sulle zone costiere di tutto lo Stretto di Messina con ondate devastanti stimate, a seconda delle località della costa orientale della Sicilia, da 6 m a 12 m di altezza. Il maremoto in questo caso provocò migliaia di vittime, aggravando il numero dovuto al terremoto.


Nel 2017 è stato istituito, con una Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri, il SiAM – Sistema di Allertamento nazionale per i Maremoti generati da sisma, di cui fanno parte:

  • Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) che opera attraverso il Centro Allerta Tsunami;

  • Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA);

  • Dipartimento della Protezione Civile.

"Tutte le coste del Mediterraneo sono a rischio maremoto a causa dell’elevata sismicità e della presenza di numerosi vulcani attivi, emersi e sommersi. Negli ultimi mille anni, lungo le coste italiane, sono state documentate varie decine di maremoti, solo alcuni dei quali distruttivi. Le aree costiere più colpite sono state quelle della Sicilia orientale, della Calabria, della Puglia e dell’arcipelago delle Eolie. Maremoti di modesta entità si sono registrati anche lungo le coste liguri, tirreniche e adriatiche."


Cosa fare in caso di maremoto?

L'unica protezione passiva è appurare sistemi di early warning, ossia di previsione e successiva allerta delle popolazioni potenzialmente vittime, ossia quelle che risiedono sulle fasce costiere interessate.

Gli Tsunami Warning System sono dei sistemi che attraverso delle DART Buoy (boe di profondità) riescono a trasmettere in tempo reale informazioni su moti ondosi potenzialmente pericolosi. A livello internazionale sono presenti in Oceano Pacifico, Oceano Indiano, Caraibi, Cile e il North-East Atlantic, Mediterranean and connected seas (NEAMTWS), in cui rientra anche l'Italia.


Per quanto riguarda cosa fare durante e dopo il maremoto, da diversi anni la Protezione Civile, attraverso la campagna "Maremoto: io non rischio", diffonde tra i volontari e nella cittadinanza le pratiche comportamentali da adottare in merito alle calamità, compreso il caso dell'evento catastrofico dello tsunami.

 

Fonti:



 

Se ti è interessato l'argomento trattato in questo articolo puoi approfondire leggendo il mio libro:

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