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Immagine del redattoreDavide Gaeta

Differenze tra SALVAMENTO AGONISTICO e realtà

Aggiornamento: 16 lug

Se il nuoto per salvamento nasceva proprio per simulare un salvataggio, oggi si può dire che il suo inquadramento come disciplina sportiva lo ha distanziato molto da quella funzione.

Per quanto le diverse competizioni mirino a sviluppare le giuste skills atletiche di un buon lifeguard, c'è da precisare che resta uno sport, anzi un fantastico sport, che con l'attività professionale ha poca attinenza.

Non mi riferisco al fatto che anche il miglior atleta di salvamento è tenuto ad acquisire un brevetto per poter praticare la professione; mi riferisco all'enorme divario che c'è tra i gesti tecnici delle gare di lifesaving e l'azione reale che compie un lifeguard in un intervento.


In questo articolo vado a porre in evidenza alcune principali incompatibilità tra sport e realtà.

 

Reaction time

Trattandosi di uno sport, ci si può preparare adeguatamente all'inizio della performance. Come tempo di reazione resta soltanto quello tra un segnale di partenza programmato e concordato, mentre un'azione di salvataggio reale si rende necessaria all'improvviso, generalmente proprio quando meno te l'aspetti.

 

Quantificazione della performance

Una competizione ha un suo volume ben preciso, ad esempio i metri da percorrere in vasca. Sulla base di questo target vengono costruite le tipologie di allenamenti e la periodizzazione degli stessi.


In gara vengono dosate le energie e le intensità, sfruttando in maniera efficiente i meccanismi energetici, al fine di concludere al meglio una performance il cui termine è ben noto.

Un salvataggio reale invece, oltre ad essere improvviso, non concede nessuna premessa sulla durata e l'impegno che richiederà.

 

Prova standardizzata

Non è un'incognita il numero di manichini da soccorrere, non ci sono dubbi sul gesto tecnico necessario da eseguire, non c'è da ragionare in breve tempo su quali attrezzature e strategie d'intervento è meglio optare.

L'intervento reale è invece sottoposto ad infinite variabili, e non esiste un salvataggio uguale ad un altro.

 

Limitati fattori esterni

Se non in piscina, le condizioni meteo marine possono certamente influenzare le competizioni in acque libere. Tuttavia, resta quanto detto, ossia che, in funzione di una prova standardizzata, è possibile valutare preventivamente rotta, tecniche e quant'altro.

 

Manichino

Mezzobusto di plastica alto un metro, senza arti, riempito di acqua per avere un assetto negativo: non ha nulla a che fare con una persona vera. Di questa cosa ho già fatto cenno quando ho parlato della differenza rispetto ai manichini della RuthLee.

 

Prese di trasporto

Non ci vuole molto ad intuire che nella realtà sarebbe impensabile afferrare una persona alla nuca e trasportarla in crawl.


Anche nella nuotata a dorso, più vicina alla tecnica di trasporto reale, viene meno l'aspetto legato al sostentamento, allo scopo di dare tutta la priorità alla propulsione;

addirittura, secondo gli attuali regolamenti sportivi, non è necessario che il manichino mantenga le "vie aeree" sopra la superficie dell'acqua.

 

Utilizzo del rescuetube

Nella gare con pinne e torpedo (rescue-tube), una volta che quest'ultimo viene agganciato al manichino, lo mantiene perfettamente a galla. Nella realtà una persona priva di sensi, soccorsa con rescue-tube, finirebbe con le vie aeree in acqua senza il supporto diretto del soccorritore. L'aderenza del device dipende dal modello dello stesso, e dalla corporatura del pericolante.

Oltretutto, anche con un pericolante cosciente, non sarebbe consigliabile nuotare a distanza, utilizzando la cima per trainarlo: l'aiuto al sostentamento, il contatto, il supporto psicologico fanno la differenza, soprattutto in un salvataggio in condizioni impervie.

 

Pinne

Le pinne da salvamento sportivo presentano una scarpetta molto stretta che garantisce una buona tenuta, ma una difficile vestizione (spesso si usa il sapone), e una pala che rispecchia le dimensioni regolamentari di 65cm di lunghezza e 30cm di larghezza.

Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, le pinne da salvamento sportivo non sono adatte al salvamento reale. Infatti queste nascono per garantire il massimo della performance nell'utilizzo in gara, in piscina, ma risulterebbero scomode da utilizzare, e soprattutto da vestire, durante un'azione di soccorso in spiaggia.

Quelle che si avvicinano di più all'esigenza del lifeguarding sono quelle da bodyboard, pinnette corte, con la scarpetta aperta anche sulla pianta, al fine di agevolare trasporto e vestizione.

 

Tavole da paddleboarding

La tavola che viene utilizzata ha volume ridotto ed è più instabile rispetto alle rescueboard impegate dai lifeguard di tutto il mondo. Lo scarso litraggio difficilmente riuscirebbe a sostenere sia soccorritore che pericolante; il deck è strutturato prettamente per fare paddle surf (remare in ginocchio) e non è comodo per recuperare ed ospitare un pericolante disteso; il numero di maniglie sul perimetro (rescue line) è notevolmente ridotto.

 

Surfski

Personalmente, non lo vedo lo strumento più valido per realizzare un soccorso, per tanti motivi, alcuni molto evidenti. Mantiene un senso se visto sotto l'aspetto che qualunque soccorritore acquatico è tenuto a possedere, tra le sue skill, la capacità di pagaiare (analogamente al vogare sul pattino, in Italia).


 

Individualismo

Un altro equivoco che l'interpretazione agonistica del nuoto di salvamento ha contribuito ad esacerbare è, infine, l'idea che il soccorso in acqua costituisca un'attività individuale, laddove i migliori risultati si ottengono quando il salvataggio è organizzato in squadra.

 

Anno dopo anno le tecniche si evolvono, però, trattandosi di uno sport, cambiano esclusivamente (e giustamente direi) ai fini della performance sportiva, dettata dai suoi regolamenti; il risultato è che l'obiettivo finale di abbattere i tempi in gara rende l'attività molto distante dai protocolli applicabili su scenari reali.


In ogni caso, il lifesaving agonistico resta uno sport che consiglio vivamente a chi decidesse di lavorare nell'ambito del soccorso acquatico.

In primis perché è uno sport che richiede di costruire un buon adattamento atletico, strutturale e cardiovascolare, è un settore che miscela saggiamente capacità natatorie ed altri gesti (ad esempio la vestizione rapida delle attrezzature), e soprattutto perché è un'attività acquatica sia indoor che outdoor.


Propendo soprattutto per le discipline "ocean", quelle in mare, quali incrementano senza dubbio la confidenza con l'ambiente marino, dove si effettuano i salvataggi tecnicamente più impegnativi.


Trovo particolarmente utile la gara "frangente", quale stimola l' operatore a perfezionare la planata, partendo dalla spiaggia ed ottimizzando l'avanzamento nell'area di guado (acqua bassa), dove si miscelano gesti motori terrestri ed ambiente acquatico.

Molto interessanti anche le discipline a secco, in spiaggia, e quelle prove sullo stile run-swim-run che evidenziano il fatto che il lifeguard, nella sua azione, non è un nuotatore purista.


 

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