Nel 2022 mi sono laureato con lode presso la facoltà di Scienze Motorie dell'Università di Pisa con una tesi sperimentale dal titolo “Analisi metabolica nell’azione del salvataggio con l’impiego dei diversi ausili e in differenti condizioni di mare”.
A seguito di una serie di test e valutazioni svolti sul campo sono arrivato ad alcune considerazioni in merito alle esigenze prestazionali di un'azione di salvataggio in acqua.
In un intervento di salvataggio vengono coinvolte, dal punto di vista metabolico, sia la componente aerobica che quella anaerobica dei meccanismi energetici cellulari, tuttavia, la prima resta di gran lunga prevalente; questo è vero in quanto, anche laddove l’azione tecnica preveda un’intensa attivazione iniziale (ingresso in acqua e nuotata di avvicinamento), una volta raggiunto il target la “performance” si dilunga nel tempo; basta considerare i tempi necessari a completare il contatto col pericolante, gli aspetti legati al supporto psicologico e il tipo di sforzo necessario per il rientro in spiaggia (in alcuni contesti è addirittura inevitabile adottare una strategia di non-rientro, attendendo a largo un mezzo nautico di soccorso).
Grossomodo è possibile affermare che nell’azione classica di un salvataggio si tratti di erogare una prestazione di volume, non di intensità. Oltre alla componente aerobica, tuttavia, ai fini del salvataggio sarebbe bene stimolare anche la componente anaerobica dei meccanismi energetici, sia nella sua accezione alattacida che in quella lattacida. La prima viene particolarmente usufruita nella fase iniziale dell’intervento, quando l’operatore passa da uno stato di quiete (sorveglianza) ad uno di attivazione (intervento di soccorso), per poi entrare in acqua, trovandosi a passare in pochi istanti dall’ambiente terrestre a quello acquatico.
Durante l’intervento in acqua invece potrebbero essere necessari degli scatti al fine di poter affrontare al momento giusto onde e correnti, motivo per cui è importante acquisire anche una capacità di lavoro in presenza di accumulo di lattato. Una delle metodiche storicamente utilizzate nel nuoto per stimolare questo aspetto è il fartlek, dallo svedese “gioco di velocità”, dove vengono alternati momenti di intensità allenanti diverse.
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